I social network sono sempre più protagonisti della nostra quotidianità, ma come influiscono questi strumenti sui rapporti interpersonali?
2 Novembre 2017 - Vanessa Biorci
I social network sono sempre più protagonisti della nostra quotidianità, ma come influiscono questi strumenti sui rapporti interpersonali?
Daniel Miller, antropologo e professore presso la University College of London, durante il Festival della filosofia di Modena, si è soffermato proprio su questo tema mettendo l’accento sul fatto che i protagonisti del cambiamento siano in realtà gli uomini e non gli strumenti digitali. Il progetto antropologico di Daniel Miller è stato finalizzato ad analizzare le conseguenze dell’utilizzo dei social network in realtà tra loro diversissime: dalla Cina al Brasile, dalle città-fabbrica ai paesini rurali, per avere una visione a 360° del mondo e comprendere a pieno le motivazioni che sottostanno all’utilizzo di questi strumenti.
Il primo cliché a crollare è stata la convinzione generale che i social rendano le persone meno interessate agli altri individui e più individualiste. Lo studio ha dimostrato che nella maggior parte del Mondo i social network vengono utilizzati per ricreare e ritrovare gruppi di persone che esistevano precedentemente nella “vita offline”. In Kurdistan, per esempio, dove una volta la società era costituita da tribù, i ricercatori portano l’esempio di un giovane che sui social network aveva una rete di 200 amici di cui 180 parenti.
Altra conclusione interessante è quella che riguarda la società musulmana: prima dell’avvento dei social per gli adolescenti non era possibile parlare con persone del sesso opposto senza il consenso dei genitori. Oggi, attraverso questi nuovi media, per i ragazzi è possibile riappropriarsi della propria privacy e acquisire indipendenza nelle relazioni. Ciò fa crollare un altro pregiudizio molto diffuso dell’era digitale ovvero che i social mettano in pericolo la privacy e limitino la libertà individuale.
Lo studio mette poi in luce l’infondatezza di un’altra convinzione cioè che i social media non siano utili dal punto di vista scolastico o formativo. I ricercatori hanno notato, al contrario, che in zone sperdute della Cina rurale o dell’India siano nati sui social media gruppi di scambio di opinioni o di condivisione del materiale didattico, che diventa così accessibile a tutti. Senza andare dall’altra parte del mondo basti pensare al ruolo che svolgono i tutorial nella nostra vita quotidiana: essi si costituiscono come momento di formazione individuale e democratica
Tra le interessanti conclusioni evidenziamo inoltre come i social rappresentino un cambiamento della comunicazione interpersonale verso il “visuale”. Ad oggi la tipologia di comunicazione visiva più popolare sono i selfie: questi cambiano caratteristiche a seconda del Paese, della cultura e delle persone che li utilizzano. Altro popolare mezzo di comunicazione visiva sono i Meme: gli antropologi hanno evidenziato come le persone meno istruite o che pensano di non essere in grado di esprimere al meglio un’opinione utilizzino le immagini umoristiche per dar voce ai propri pensieri o per condividere determinati valori.
Tanti dei luoghi comuni associati all’utilizzo dei social media perdono quindi di credibilità se analizzati in diversi contesti sociali, e devono essere quindi interpretati adeguatamente.
Condannare i social media senza distinzione accusandoli di “farci perdere la nostra umanità” non è certo un approccio corretto: è più opportuno pensare ad uno scambio circolare tra esigenze umane e tecnologia, nel quale entrambe si influenzano e plasmano reciprocamente, evitando gli eccessi.
(Per ulteriori informazioni sui risultati della ricerca si consulti: https://www.ucl.ac.uk/why-we-post/discoveries/2-social-media-is-education)